Precariato e scarse retribuzioni creano un problema con la pensione: i redditi dei lavoratori sono infatti fondamentali per i contributi.
La questione è semplice: se non si raggiunge una soglia minima di retribuzione giornaliera, anche se si lavora regolarmente, si rischia di accumulare un numero di contributi ridimensionato rispetto alle ore effettivamente lavorate. E tale problema si rivela soprattutto con i contratti part-time…
Se un dipendente lavora part-time, per scelta o per obbligo, e lo fa per un intero anno, scoprirà che il numero di settimane valide ai fini pensionistici potrebbe essere inferiore a quanto stimato. Fondamentalmente perché il guadagno non copre il minimo necessario. Ed è per questo che chi ha un contratto part-time potrebbe dover lavorare per più anni per ottenere lo stesso numero di settimane contributive di chi gode di un contratto a tempo pieno.
Tutto ciò si traduce in un problema con la pensione: i redditi più bassi possono avere difficoltà a raggiungere i requisiti base per ottenere l’assegno pensionistico. Inoltre, potrebbero ritrovarsi con una pensione minima. In questi casi, lo Stato italiano interviene con alcune misure volte a integrare l’assegno quando risulta inferiore al minimo vitale. Con redditi complessivi sotto 7.328 euro circa annui, scatta per esempio l’integrazione al trattamento minimo.
Con lo scattare dei sessantasette anni, coloro che si trovano in una situazione di povertà possono invece richiedere l’assegno sociale, pari a circa 503 euro al mese. Esistono poi varie maggiorazioni per i pensionati di età compresa tra i sessanta e i sessantaquattro anni (fino a circa 26 euro al mese), per i sessantacinquenni anni (82,64 euro al mese) e per i pensionati gli over settanta (136,44 euro al mese).
Ci sono insomma varie delle opzioni disponibili per aumentare l’assegno pensionistico. Ma di base è sempre meglio intervenire già durante il periodo lavorativo. Laddove possibile è meglio puntare a guadagnare il minimo necessario per non avere poi ripercussioni negative sulla pensione e altre prestazioni future.
Per la normativa vigente, il valore minimo della retribuzione settimanale deve essere pari almeno al 40% del trattamento minimo di pensione in vigore all’inizio dell’anno. E visto che nel 2025 il trattamento minimo di pensione è fissato a 603,40 euro, con retribuzione settimanale minima di 241,36 euro e limite annuale di 12.550,72 euro, se la retribuzione percepita dal lavoratore è inferiore a questa soglia, i contributi pensionistici verranno riconosciuti in misura proporzionale al reddito effettivamente percepito.
Della questione si preoccupano anche le istituzioni. Relativamente al problema dei part-time e dei redditi inadatti al raggiungimento di una pensione dignitosa, l’INPS ha per esempio aggiornato il minimo di retribuzione giornaliera per chiarire quanto bisogna guadagnare ogni settimana lavorata. E il minimo di retribuzione oraria per i contratti part-time è di 8,60 euro (calcolato su un orario settimanale di 40 ore).
Tale aggiornamento non influisce solo sulla pensione ma anche su altre prestazioni come la NASpI, che si calcola sempre sulla base dei contributi versati. Anche con l’aggiornamento, tuttavia, permane il problema per i redditi bassi. La soluzione, in questo caso, è quella di riscattare gli anni di lavoro part-time. O, in alternativa, di aggiungere contributi volontari (che, però, costano).
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